6 luglio 2020
Il 2020 sarà ricordato come l’anno di COVID19 (Corona Virus Disease-2019). L’infezione da SARS-CoV-2, partita da Wuhan (Cina) e classificata come sindrome respiratoria acuta grave, si è diffusa rapidamente in tutto il mondo, diventando, come sarà ricordata, una pandemia. I sintomi respiratori (tosse secca, difficoltà respiratoria), accompagnati da febbre, sono quelli più comuni, nonostante l’infezione non sia localizzata solamente nell’apparato respiratorio. Proprio i medici cinesi, sulla base della loro esperienza sul campo, sono stati i primi a evidenziare che nell’evoluzione di questa malattia anche il microbiota intestinale gioca un ruolo rilevante. Ma andiamo con ordine.
Covid-19: sintomi respiratori e intestinali
Dopo i sintomi respiratori, i più frequenti sono quelli gastrointestinali. Diarrea, nausea, vomito e/o dolore addominale colpiscono circa il 20-30% dei pazienti e, in un ridotto numero di questi, compaiono addirittura prima dei disturbi respiratori.
Per esempio, dei 254 pazienti in osservazione all’ospedale di Wuhan dal 20 dicembre 2019 al 9 febbraio 2020, l’incidenza dei sintomi è stata la seguente:
- febbre 211 (83%)
- tosse 98 (38.6%)
- sintomi gastroenterici 66 (26%) (più frequenti nelle donne)
Nei casi più gravi, è stata osservata una progressione verso acidosi metabolica, shock settico, sindrome da stress respiratorio acuto o deficit della coagulazione. Il peggioramento della condizione respiratoria è, di norma, correlato anche a quella gastrointestinale. Nei bambini, invece, la manifestazione clinica della malattia può essere atipica, con sintomi respiratori minori sostituiti da disturbi gastrointestinali, sonnolenza o ipersonnia, aumento della frequenza respiratoria. Gli anziani e le persone con comorbilità preesistenti sono i soggetti più vulnerabili alla malattia, con la prognosi peggiore. Non ci sono fasce di età immuni al contagio, ma in molti malati di COVID19 i sintomi sono lievi, generalmente in maniera proporzionale all’età. Diversi soggetti sono addirittura asintomatici e, senza saperlo, rappresentano un potenziale veicolo di trasmissione del virus. La maggior parte dei pazienti supera quindi la malattia senza complicazioni, i bambini in particolare. Nessuna avvertenza specifica sembrerebbe esser riservata alle donne incinte. Per quanto riguarda la sintomatologia gastrointestinale: «Nella gran parte dei casi i sintomi gastroenterici sono per fortuna lievi» commenta Antonio Gasbarrini, direttore della Medicina Interna e della Gastroenterologia al Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma, nonché, in questi mesi, coordinatore delle attività Covid della stessa struttura. E aggiunge: «Nel nostro centro abbiamo appena concluso uno studio (sarà pubblicato a breve) in cui abbiamo osservato che, su 420 pazienti Covid, 247 hanno mostrato almeno un sintomo a carico dell’apparato digestivo: diarrea (35%), nausea (20%), problemi di consistenza delle feci (15%)». L’incubazione dura da 1 a 14 giorni (3-7 giorni in media) e il contagio avviene principalmente per contatto diretto, droplet (goccioline di muco) o via aerea. «Il meccanismo virale alla base dell’infezione si basa essenzialmente sull’interazione di SARS-Cov-2 con il recettore ACE2 (enzima di conversione per angiotensina-2) e la proteasi TMPRSS2 espresso sia a livello polmonare sia, soprattutto, a livello gastroenterico» spiega il professor Gasbarrini. I due recettori del virus sono presenti, in contemporanea, soprattutto nell’ileo e nel colon. Secondo Zhang et al. anche la via oro-fecale potrebbe essere una modalità di trasmissione. Infatti, RNA virale è stato rilevato in feci e urine di oltre il 20% dei pazienti COVID-19, anche in assenza di sintomi e tracce di infezione a livello respiratorio. Al momento, non abbiamo evidenze certe su questa modalità di trasmissione del virus. Questi dati sostengono tuttavia un coinvolgimento gastroenterico e una prolungata permanenza del virus nell’intestino dove, in seguito alla sintesi di specifiche proteine e materiale genetico può replicarsi e diffondersi. «Gli enterociti sarebbero dunque una “riserva” del coronavirus» sottolinea Gasbarrini «un serbatoio virale attivo che spiegherebbe la presenza del patogeno nelle feci anche dopo la clearance (scomparsa) dall’apparato respiratorio». «Inoltre» puntualizza l’esperto «sappiamo che l’apparato digerente è la sede principale del sistema immunitario, quindi è plausibile che quest’organo svolga un ruolo essenziale nello sviluppo della tempesta infiammatoria sistemica, la famosa tempesta citochinica che, come noto, è il meccanismo predominante della patogenesi di Covid-19». Tutto quanto sopra fa supporre che il microbiota intestinale abbia un ruolo importante nello sviluppo e/o decorso dell’infezione e comunque di esserne impattato in maniera rilevante.
Quale possibile ruolo del microbiota intestinale?
«Gli studi pubblicati in questi mesi si sono giustamente concentrati sul polmone, perché c’era da affrontare un’emergenza sanitaria senza precedenti» commenta Gasbarrini «sull’apparato gastroenterico i dati sono ancora “deboli”». Sulla base di ciò iniziano a uscire alcuni studi finalizzati a capire le possibili alterazioni della componente batterica intestinale in relazione a COVID-19. Sebbene i dati siano ancora preliminari, il targeting del microbiota intestinale potrebbe infatti rappresentare un’opzione terapeutica e/o un utile adiuvante. Sembrerebbe che determinati ceppi siano in grado di modulare l’espressione dei recettori per i coronavirus, ACE2 in primis, ma anche DPP4 e ANPEP. La presenza di Salmonella enterica nell’intestino tenue ha difatti dimostrato di aumentarne l’attività e, di conseguenza, una maggiore probabilità di replicazione virale e sviluppo della patologia associata. È noto che la fisiopatologia di Covid-19 è principalmente immunologica e che la presenza nel torrente ematico delle citochine pro-infiammatorie, in particolare TNF alfa, IL 1 beta e soprattutto IL 6, è associata a una progressione clinica peggiore. «Sappiamo anche» prosegue «che alcuni batteri, come Ruminococcus gnavus, sono correlati positivamente con i livelli di queste citochine. Questo significa che un paziente Covid-19 che presenta livelli molto alti di questi batteri nel microbiota intestinale, potrebbe avere un rischio più alto di andare incontro alla tempesta citochinica». Attenzione, il condizionale è d’obbligo. «Non ci sono ancora dati sulle popolazioni di pazienti Covid-19, ma è biologicamente plausibile che la cosiddetta microbiome signature, cioè la composizione del microbiota, assieme a una permeabilità intestinale alterata, potrebbero avere un ruolo importante nella prognosi dei pazienti Covid-19» puntualizza Gasbarrini. E la cosiddetta leaky gut sindrome, cioè l’aumento della permeabilità intestinale, potrebbe avere un ruolo cruciale anche nell’insorgenza delle problematiche cliniche peggiori per i pazienti Covid: «Tutte le volte che abbiamo la traslocazione di frammenti batterici dal lume intestinale al sangue si verifica una endotossemia, che aumenta il rischio di micro trombosi». Infine, sappiamo che esiste un asse tra l’intestino e il polmone. «È dimostrato in letteratura che il microbiota intestinale modula quello polmonare, anche se non sappiamo ancora in che modo avviene questo cross-talk». Per tutti questi motivi è fondamentale monitorare i pazienti Covid post dimissione, anche dal punto di vista gastroenterologico. «Molti di questi pazienti presentano condizioni che possono favorire sequele gastroenteriche collegate all’attivazione dei processi infiammatori, che potrebbero causare un problema di intestino irritabile post infettivo, e all’iperattivazione del sistema immunitario, quindi con un rischio potenziale di sviluppare nel tempo patologie autoimmuni in altri distretti dell’organismo».
Cosa sappiamo dall’esperienza cinese: possibile ruolo dei probiotici
Stando al parere della Commissione Nazionale per la salute cinese e della National Administration of Traditional Chinese Medicine, nell’ambito del trattamento di pazienti COVID-19 i probiotici «possono essere utilizzati per mantenere l’equilibrio del microbiota intestinale e prevenire un’infezione batterica secondaria». Nonostante il governo cinese sembri dunque aver riconosciuto l’importanza del microbiota, non abbiamo ancora certezze, né tantomeno linee guida, sul tipo di probiotici da usare. A tale proposito la FISMAD, la federazione che riunisce le società scientifiche di gastroenterologia italiane, in un suo recente documento afferma, richiamando il documento cinese, che sebbene non ci siano «prove cliniche dirette che la modulazione del microbiota intestinale svolga un ruolo terapeutico nel trattamento del COVID-19, si ipotizza che il targeting del microbiota intestinale possa essere una nuova opzione terapeutica o almeno una scelta terapeutica adiuvante». E nello stesso documento sottolinea come «i dati fino al momento raccolti evidenziano una riduzione del pool dei Lattobacilli e dei Bifidobatteri in caso di infezione Covid-19». Studi in vivo hanno dimostrato come probiotici a base di batteri filamentosi segmentati (SFB) possano addirittura peggiorare il quadro clinico aumentando l’espressione di recettori target per SARS-Cov-2. Gregor Reid, esperto di probiotici a livello mondiale, sottolinea in un suo recente articolo la necessità di usare ceppi geneticamente caratterizzati e ben documentati nell’uomo, e che abbiano dimostrato benefici per l’immunità contro patogeni respiratori. Alterazione della risposta immunitaria è stata infatti osservata in pazienti COVID a carico principalmente di IL-1 e IL-6, molecole del sistema immunitario che, secondo alcuni studi, possono essere modulate anche attraverso l’assunzione di specifici probiotici. Ristabilendo l’equilibrio del microbioma si potrebbe quindi, secondo Reid, influenzare il sistema immunitario considerandone la correlazione già dimostrata in molti studi. «Siamo ancora nel campo delle ipotesi» risponde Gasbarrini «è molto probabile che, in ottica preventiva, un intestino in condizioni di eubiosi sia in grado di “proteggere” dall’infezione oppure di scongiurare la tempesta citochinica. A oggi sappiamo di certo che l’infezione Covid-19 causa disbiosi. Sarebbe certamente utile sapere se esiste una microbiome signature protettiva, ma lo potremo sapere solo con uno studio prospettico. In vista di una possibile “seconda ondata” della pandemia, questi dati sarebbero davvero preziosi». «Al Policlinico Gemelli stiamo facendo partire uno studio clinico randomizzato e controllato contro placebo su alcuni probiotici, tra cui L. paracasei DG, per valutare se sono in grado di ridurre l’incidenza di sintomi intestinali cronici conseguenti alla disbiosi che si verifica dopo l’infezione da Covid».
Reference
- Chen L et al. Analysis of clinical features of 29 patients with 2019 novel coronavirus pneumonia. Zhonghua Jie He He Hu Xi Za Zhi. 2020 Feb 6;43(0)
- COVID-19: Consigli FISMAD per l’assistenza ai pazienti con malattie dell’apparato digerente e per gli operatori sanitari in Gastroenterologia. FISMAD, 16/03/2020
- Feng Z et al. The small intestine, an underestimated site of SARS-CoV-2 infection: from Red Queen effect to probiotics. https://doi.org/10.20944/preprints202003.0161.v1
- Gao QY et al. 2019 Novel coronavirus infection and gastrointestinal tract. J Dig Dis. 2020;21:125–126.
- Linee Guida Cinesi sulla Gestione di COVID-19 (Versione 7°- 3/3/2020). Commissione della Salute Nazionale della R.P.C. e Amministrazione Nazionale della Medicina Tradizionale della R.P.C. Trad a cura di da Jinwei Sun Medico Specializzando in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
- Reid G, Mar 17, 2020. Can bacteria help humans fight COVID-19? https://naturemicrobiologycommunity.nature.com/channels/315-in-the-news/posts/62121- can-bacteria-help-humans-fight-coronavirus
- Xiao F et al. Evidence for Gastrointestinal Infection of SARS-CoV-2. Gastroenterology 2020;1–3.
- Zhou Z et al. Effect of gastrointestinal symptoms on patients infected with COVID-19. Gastroenterology (2020), doi:https://doi.org/10.1053/ j.gastro.2020.03.020.
Fonte: https://microbioma.it